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al testo di Emilia Filocamo
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Quell'estate volevi comprare un gazebo da spiaggia: sotto riunire, calumet della pace, il circo delle buone abitudini. Tu progettavi ed io, lungo il corso che dava sul fiume, putridume e spaccio, cercavo le mie stelle. Mai ti mostravo i fianchi speronati dal desiderio di quelle vie appiccicate alla terra in formato collage, mosaico di alberi giallognoli e vecchie botteghe. Quell'Agosto, Agosto era caldo fino al casello che ci inghiottiva per darci ai monti e nella piazza antistante il bar, cieco quanto il bastardo di qualche facile gattaccia, blu di divani e di insegna, sedeva sedata dal tedio la gioventù del Molise: giacche ed alcolici, risa, discoteche, distanti maliarde. Io mi sentivo sicura sui ciottoli ripidi, autostrada di discese e salite: una gradinata cingeva il monumento maggiore, messo al centro, naso quasi aquilano, odorava di antico e guerre, di fascismo e cannoni dimenticati come dentiere. Quanto ho amato quella sera d'estate nessuno potrà mai saperlo e quanto ero certa del mio bacino e delle cose che per le mie gambe erano tutto. A proposito: un giorno mi sfilarono gli stivali verdi, quelle lucertole tacchi e punte tonde cavesi, sono state arrendevoli ed obbedienti alla mano che corse esperta ad aprirgli la bocca . Si afflosciarono l'uno sull'altro: svenuto il destro, il sinistro sopportò poco il peso del primo caduto. Allora forse mi sono ammalata, quando trovandomi scalza sul pavimento dei tali, ho avuto freddo. Ed il freddo mi ha risucchiata. Giù, fino in fondo. Un Draculino soddisfatto non ha tenuto conto di quanto mi fosse già vicino alle ossa con quella sola, veloce suzione granata. |
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